Ho guidato infinite volte lungo la Collatina Vecchia senza mai accorgermi di quel fontanile nascosto tra i rovi su cui è inciso dal 1753 il nome di papa Benedetto XIV. Altrettante volte sono passata con l’automobile in via della Serenissima, ma mai avrei immaginato l’esistenza di una delle necropoli più estese di Roma, terra di sepoltura di uomini, donne, bambini, uccisi da un’epidemia, la peste antonina, che tra il 165 e il 180 dopo Cristo causò a Roma una mortalità stimata dal 10 al 30 per cento della popolazione. Ho lavorato per circa quindici anni a cinquecento metri del vecchio ponte Mammolo, senza mai supporne l’esistenza alla fine di una stradina polverosa.
Sono entrata nella chiesa di Santa Maria del Soccorso, al Tiburtino III, per un’occasione assai malinconica, e nulla sapevo della storia di Caterina Mannelli che qui battezzò la sua ultima figlia qualche mese prima di venire uccisa, in questa stessa borgata, nel 1944. Ho giocato quasi tutti i giorni negli anni dell’infanzia nell’appartamento di via Efisio Cugia 5, quello di Giorgio Marincola, quando era abitato da una mia amica, nipote del partigiano: c’erano le sue foto all’entrata, mi racconterà lei più tardi, ma io non le ricordavo. Erano gli stessi anni in cui la mia cameretta di bambina affacciava su via Orti di Malabarba, strada secondaria, a ridosso della ferrovia, in cui ci riversammo quando il terremoto dell’Irpinia del 1980 fece tremare anche i palazzi di Casal Bertone. Ci si era rifugiato anche il ribelle Tiburzio nel 1460, cercando riparo in un canneto per sfuggire agli uomini del Papa, inutilmente.
Quattro anni fa ho scoperto, varcandone le porte, la struttura abbandonata della Technicolor italiana, in via Tiburtina 1138. L’occasione era il sopralluogo per un documentario mai girato: al suo interno, c’era la storia del cinema italiano e delle sue geniali maestranze. Non avevo ancora letto, però, delle pellicole pasoliniane stranamente rubate nel Ferragosto del 1975.
Potrei andare avanti a lungo, in questi incroci di memoria personale e di vicende legate al passato del territorio. Questo per dire che “La Storia del Collatino-Colli Aniene”, più di altri libri scritti per la stessa collana di Typimedia, narra di spazi a me familiari, alcuni veri e propri luoghi del cuore, che ho riscoperto e di cui mi sono riappropriata con uno sguardo diverso, facendoli oggetto di studio.
Una vicenda mi ha particolarmente incuriosito, la racconto nel quinto capitolo: è quella che coinvolge i terreni di Grotta di Gregna che nel 1886 vennero espropriati al loro possidente di allora, Bernardo Tanlongo. Questo nome, letto su un documento d’epoca, non mi diceva nulla. Era però così singolare che meritava una piccola indagine. Ed ecco che il territorio del Collatino-Colli Aniene si è rivelato essere, suo malgrado, una minima tessera del grande mosaico del primo scandalo finanziario dell’Italia unita. Chi l’avrebbe mai detto.
Michela Micocci
curatrice del volume “La Storia del Collatino-Colli Aniene”